La tentazione necessaria! (Anno B, I dom. quaresima, Mc 1, 12-15)
Prima che Gesù cominci l’annuncio del suo Regno, viene condotto dallo Spirito Santo nel deserto per essere tentato dal diavolo.
Questo episodio della sua vita c’insegna che la tentazione, sebbene sia dolorosa da sopportare, rientra sicuramente nel piano salvifico di Dio e nella vita di Grazia; dobbiamo quindi intenderla come un’occasione favorevole per guarire dai nostri vizi e per crescere nelle virtù. Nella vita spirituale, si può dire che ogni tentazione è un gradino da superare per salire verso l’alto. Senza tentazioni l’anima è vuota e smarrita; e rischia di cadere nel vizio mortale della noia e dell’accidia.
Invece, «la correzione attraverso le tentazioni è un bastone spirituale; essa insegna a umiliarsi a chi, nella sua stoltezza, si è esaltato» (Talassio Libico). La tentazione, una volta superata, ha come ricompensa una crescita nella fede e il dono della gioia: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo» (1Pt 6, 6s).
Tuttavia, «nessuno, quando è tentato, dica: Sono tentato da Dio; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono» (Giac 1,13s). Perciò dobbiamo distinguere le tentazioni subite da Gesù nel deserto da quelle in cui possiamo cadere noi per la nostra fragilità. Gesù non viene tentato nelle sue passioni come lo siamo noi, ma, essendo il nuovo Adamo, viene posto dinanzi alle tentazioni del primo peccatore per riparare, con l’obbedienza a Dio, a quella caduta del nostro progenitore. Egli si fa solidale con noi, perchè possiamo imparare che insieme a Lui è possibile vincere la tentazione. Infatti «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Nella preghiera del “Padre Nostro” diciamo: Non abbandonarci alla tentazione! In questo modo diciamo a noi stessi che dobbiamo combattere il male ricorrendo non alle nostre forze, ma alle armi spirituali che lui ci mette a disposizione.
Vincere la tentazione, oltre che una crescita personale, è anche il modo più audace che Dio ci offre perché possiamo rendergli testimonianza; infatti «il segno dato dai patriarchi e dai profeti, dagli apostoli, dai martiri di ogni tempo, non è stato altro se non quello di passare attraverso la via stretta delle tentazioni e delle tribolazioni e risultare così graditi a Dio» (Macario l’Egiziano).
La tentazione può essere una prova attiva o passiva; é passiva quando avviene dentro di noi in solitudine e sono le «ondate dei nostri pensieri» (Massimo il Confessore); é attiva quando avviene per cause esterne, quali una malattia, un lutto, le maldicenze, un’ingiusta condanna. La vita di Gesù va dall’una all’altra, dalla tentazione nel deserto e nel Getsèmani a quella davanti al Sinedrio e a Pilato. La quaresima si apre con la tentazione di Gesù nel deserto e si chiude con quella della croce: quaranta giorni per camminare con lui, purificare la nostra fede e vincere le nostre passioni, fiduciosi che lui «conosce la misura di tentazione che ogni anima deve portare per divenire provata e adatta al regno dei cieli» (Macario l’Egiziano).