Due corse per cambiare la storia! (anno B, pasqua di resurrezione, Gv 20, 1-18)
Il racconto di quel mattino ci commuove. Nel buio della notte, che pian piano si sta trasformando in aurora, il passo di Maria di Magdala, appesantito dalla tristezza e dal dolore nel giungere al sepolcro del maestro amato, una volta che ha visto la pietra ribaltata, si fa improvvisamente veloce, diventa una corsa a ritroso verso il luogo da cui è partita, dove si trovano riuniti gli apostoli. In quel silenzio di alba incipiente, sembra di sentire prima il passo lento, poi concitato, della donna che ancora non sa di andare ad annunciare a quegli uomini confusi e stremati l’avvenimento che compie tutta la storia della salvezza, e che rinnova l’umanità intera. Sa soltanto che il suo Signore non si trova più dentro quella tomba, sa che anche il conforto di poterlo vedere morto le viene inspiegabilmente negato: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro». L’evangelista nel suo racconto concentra l’attenzione su di lei che ha corso più delle altre, ma – come riferiscono gli altri vangeli – erano andate anche Maria di Giacomo e Salome. Maria di Magdala parla dunque anche a nome delle altre che evidentemente sono state più lente a ritornare, mostrando il suo e il loro smarrimento: «Non sappiamo dove l’hanno posto!».
Ed ecco alla sua corsa ne subentra un’altra, ancora più veloce, forsennata. Ora sono Pietro e Giovanni a correre verso il sepolcro. Cosa pensano in quella corsa? Che al maestro abbiano potuto fare del male, anche da morto? O così tumultuosamente li fa correre una segreta speranza, covata nella memoria? La memoria di tante parole misteriose del maestro e di tanti fatti inspiegabili, come la sua trasfigurazione sul monte Tabor!
In quelle ore di lutto e di grande paura per le ritorsioni possibili delle autorità, sono stati insieme chiusi nel cenacolo, a parlare di lui; così si fa sempre dopo la morte di qualcuno, si sta lì, a ricordare e a raccontare la sua vita. E da vivo non ha forse parlato di resurrezione, della sua resurrezione?
Corrono, dunque. Commovente anche la pazienza di Giovanni. Egli arriva per primo al sepolcro, si china a dare un’occhiata. Ma non entra; preferisce aspettare Pietro, più anziano di lui. Le parole del vangelo fanno fatica a raccontare quello che i loro occhi hanno visto. Tutte le traduzioni sembrano insufficienti. Gesù, deposto dalla croce, coperto dal lenzuolo della sindone, era stato avvolto da fasce e il suo volto da un sudario. Ma cosa si è presentato davanti ai loro occhi?
«Scomparso il corpo, le fasce che lo avevano avvolto, più pesanti, si erano abbassate sulla sindone che esse coprivano e avevano assunto una posizione “distesa”». Con queste suggestive parole, Vittorio Messori interpreta il nostro testo. Dunque il corpo di Gesù non ha scompigliato le fasce che lo avvolgevano, risorgendo le ha semplicemente attraversate ed esse sono rimaste distese a terra. Perciò Giovanni «vide e credette»! E’ lui il primo a credere che Cristo è risorto, è lui il primo cristiano della storia! La morte, sbigottita, non ha potuto sopraffare l’immortale e per sempre «il Signore della vita, morto, regna vivo!».
Ricordiamolo: Cristo è risorto nel suo vero corpo! Non riduciamo il nostro augurio di “Buona Pasqua” ad un convenevole privo di contenuto. E’ bello il saluto pasquale dei cristiani d’Oriente: «Cristo è risorto!», «E’ veramente risorto!». Questa è la nostra fede, e ci gloriamo di professarla!