Quella voce registrata nell’anima! (Anno B, IV dom. tempo pasquale, Gv 10, 11-18)
E’ sorprendente la capacità che Gesù ha di introdurre ai grandi misteri della fede attraverso immagini semplici, tratte dalla vita reale del suo tempo. Essendo la sua terra quella del lago di Genesareth, circondato da un territorio fatto di ampi vigneti e di pascoli estesi, ecco che la pesca, la vigna e la vita dei pastori diventano i temi principali della sua predicazione. Gesù sa quale particolarissimo rapporto di conoscenza può stabilirsi tra un pastore e il suo gregge. Pastore e gregge vivono sempre insieme. In questa simbiosi quotidiana, la voce del pastore è per le pecore inconfondibile ed esse hanno imparato ad avere fiducia in lui. Si racconta di un pastore a cui furono rubate trenta pecore. Sicuro di averle riconosciute tra le pecore di un altro gregge, gli fu chiesto come facesse ad esserne sicuro. A questo punto egli fece risuonare forte la sua voce e le sue trenta pecore si separarono dall’altro gregge per andargli incontro. Così è anche la voce di Cristo per i credenti. Essa viene registrata, incisa nel cuore, il giorno del Battesimo. Lo Spirito Santo è il Soffio, il Respiro di Dio che veicola la Voce di Cristo e ne imprime il timbro particolarissimo nell’anima. La vita del battezzato è guidata dall’ascolto della Parola del Vangelo, che fa riecheggiare nell’anima la voce di Gesù Buon Pastore. Ma può capitare che la vita sia riempita e disturbata da altre voci più rumorose e allettanti, ma anche disturbanti. Sono le voci interne della rabbia, del risentimento, dell’odio, della poca stima di sè, della brama di denaro o di potere; o quelle esterne che istigano alla violenza o invitano al vizio, alla dipendenza dal gioco, dall’alcool, dagli stupefacenti. Sono voci mercenarie. Quella voce allora, flebile eppure intima e dolcissima, sta lì, paziente, nella memoria dell’anima, e un giorno, tra le parole da cui ci siamo lasciati sedurre, improvvisamente riaffiora (in un silenzio, in un dolore, in un pensiero): «La voce del mio amato che bussa!» (Ct 5,2); la sentiamo di nuovo e riconosciamo che appartiene al nostro essere più di qualunque altra voce, sintonizziamo il nostro orecchio alla sua bellezza (non è Voce del Bel Pastore?) e desideriamo ascoltarla per sempre. Essa ci fa provare l’amarezza di averla ignorata, e poi ci riempie subito di dolcezza e ci restituisce il senso pieno e la vera direzione della vita. Perchè siamo uno strano gregge, accomunati dalla stessa fragilità dinanzi ai lupi, ma ciascuno con una strada diversa. Dunque, non induriamo il nostro cuore, ascoltiamo la voce del Pastore! Questa voce chiama tutte le pecore perdute a diventare «un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,16); essa invita al pentimento i peccatori e li convince con il timbro inconfondibile delle parole d’Amore; risuona nella liturgia, invitando il gregge di Cristo ai pascoli erbosi in cui si moltiplica e si condivide il pane della vita; è questa voce che, parlando all’anima dei martiri, tiene alto il loro sguardo e sereno il passo tra gli insulti dei carnefici; è questa voce che riconosce se stessa nella voce dei poveri, degli ammalati e degli esclusi; essa s’insinua e ricostruisce la pace mettendosi in mezzo tra persone divise da parole di odio per diventare nuovo “dialogo” tra loro. Ecco il vero frutto della Pasqua, fino all’ora suprema, quella: «in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno» (Gv 5,25): col Pastore Supremo delle pecore, per l’eternità!