8 luglio 2019. PRONTO SOCCORSO!
Oggi, lunedì. Esmeralda, la sacrista, non ha voluto sentire ragioni. «Follow me, father! Follow me!». La seguo. A messa ieri deve aver visto le mie smorfie di dolore. La mia spalla ormai da tre giorni è come paralizzata, il braccio bloccato. Il dolore, lancinante, è stato tale che neanche mi sono accorto di aver celebrato la messa in inglese. Alla distribuzione della comunione ad ogni amen dei fedeli avrei lanciato un urlo. Gli avvisi sono stati un supplizio, alla fine sono riuscito a dire nel mio più fluente inglese: «Scusate, ma non ho capito niente di quello che ho letto, spero che sia andata meglio a voi!». La benedizione è stata meccanica, nel senso che il braccio si è mosso come una piccola gru carica di cemento e pronta a ribaltarsi. «Go in peace!», «Andate in pace!», mamma!, credo, in quel dolore, di aver sbagliato la pronuncia, basta infatti accorciare la sillaba di «peace» e diventa «piss» che significa «fare la pipì», credo che anziché mandarli in pace, li ho mandati a gabinetto. E’ stata comunque un’azione liberatoria, anch’io non ce la facevo più. L’umidità di New York si è tramutata in colate di sudore, che dentro la metropolitana e i negozi si sono congelate per l’aria condizionata sparata a palla. Così in pochi giorni il mio braccio destro si è fermato. E ora mi va ballando dentro il tutore fornitomi da Esmeralda, mentre lei con passo spedito arriva ad un ambulatorio di Delancey Street, quasi sotto il Williamsbourgh Bridge. Entriamo. Parla con un’infermiera, mi fa uscire di corsa. Faccio in tempo a vedere con la coda dell’occhio la scritta sulla vetrina: «Podology. Foot and Ankle (Podologia. Piede e caviglia)». Mi immagino col braccio dolorante e il piede ingessato, tanto per ridere, ma da ridere non c’è niente. Ecco, finalmente: Urgent Care, una specie di clinica pronto soccorso. Meno male, ho fatto l’assicurazione sanitaria. Volete sapere a cosa serve? A…… niente. Il sistema sanitario americano è una spada di Damocle sui poveri a cui è proibito ammalarsi. Un medico mi visita con le sue scientifiche parole: Peso? Altezza? Allergie? Uso di farmaci? Cosa le fa male? Rispondo balbettando: «My shoulder, Doctor, and the arm!». Ahhhhiiiiiiiii!!! Il dottore ha verificato che mi fa male davvero e sentenzia: X-ray (Radiografia)! Dopo un’ora ho fatto la radiografia, ma temo che l’aria condizionata stia attaccando l’altro braccio: sono terrorizzato. The Doctor è tornato: «No good news! No good news! (Brutte notizie)»; ho calcificazioni innumerevoli alla shoulder-spalla destra. La sentenza è inappellabile: «Chirurgical operation!». Intanto: analgesici! Il dottore mi saluta dicendo: «Monreale, Monreale!». Magari fossi a Monreale dove sei stato tu, dottore, invece sono qui a soffrire come un cane. Dopo aver lanciato un urlo per fermare Esmeralda che vorrebbe pagare la visita, finalmente usciamo! Chissà che pensieri e che riflessioni profonde, direte, conoscendomi. Ma non mi conoscete abbastanza. L’unica cosa che mi è venuta in mente è il motivetto di una vecchia canzone di Paul Anka: «Put your head on my shoulder (poggia la tua testa sulla mia spalla, baby)!». Riesco ad essere fuori tema pure con i miei malanni. Ora devo aspettare pazientemente il ritorno in Sicilia. Uscirò dall’America, cari amici, ed entrerò ufficialmente nella… vecchiaia!