3 luglio 2019. A CASA DELLO ZIO DI PEGGY!

Da solo, a New York, nella metropolitana. Ma non era meglio starmene tranquillo a Trapani? In effetti il primo a non capire questo mio viaggio sono io. Forse per questo l’ho dovuto fare: un desiderio incompreso rimane come un tarlo, bisogna liberarsene! Ma ora sono solo, nella metropolitana, diretto al Guggenheim Museum: non posso permettermi il solito straniamento, come quando non riesco a trovare la strada di casa mia. Sono entrato dalla fermata di Essex-Delancey. La mia piccola guida di New York mi dice che devo cambiare a Bway-Lafayette. Ma dove sono scritte le fermate? Ah, eccole… ma sto congelando! Improvvisamente la temperatura si è abbassata di almeno 10 gradi. Dall’afa umida e caldissima dell’esterno siamo passati ad una situazione siberiana. Tento di mettermi il maglioncino, ma ecco l’elenco delle fermate… come, solo due? Devo scendere! Vengo da Downtown, che significa la “città che sta sotto”, quindi devo andare verso Uptown, quella “che sta sopra”, fino alla famosa Fifth Avenue, lungo la quale si affacciano i grandi Musei di New York costeggiando il Central Park. Prima mossa riuscita. E adesso? Con tutte queste indicazioni? Verso la linea verde, la numero 6. Bravo! Infatti: mi sono perso! «I’m sorry! I’m finding the sixthy line toward the eightysix street. Can you help me?» Ma da dove ho tirato fuori questo inglese maccheronico? Toward, mi sembra la prima volta che sento questa parola, eppure l’ho pronunciata! “Verso”, certo devo andare per forza “verso” qualcosa! «Please, please!». La donnona con le treccine, che mi sente urlare davanti a lei, mi guarda assente, trascinando in avanti il suo carrello con la spazzatura. Cosa c’è nel suo sguardo!? Indifferenza? Fastidio? Ecco, pietà! «Come here, follow me!» «Thanks!». La seguo come un discepolo e rientro nel congelatore della metropolitana. Ed eccomi alla meta, la 86ma strada e, svoltando a destra, il Guggenheim! Il mitico Guggenheim, quello di Solomon, lo zio di Peggy! Sono davanti ad un’icona dell’architettura del Novecento, opera di Lloyd Wright. Le architetture ti parlano solo se ci entri dentro. Ci sono entrato, ma non mi ha detto cose piacevoli, mi ha invece detto parole disturbanti. Si tratta di una grande spirale rovesciata. Le opere sono disposte ai lati della spirale, ma proprio per la forma dell’edificio non possono avere sotto un piano regolare e soprattutto una parete diritta alle spalle. Non sembra che il museo sia stato costruito per loro, quanto che loro, poverine, si siano dovute adattare. Salendo ho provato la strana sensazione di essere contemporaneamente trascinato all’indietro. E alla fine la spirale che si allarga finisce nel budello morto di una galleria dedicata ad alcuni americani. La sensazione inquietante è di non avere scampo se non di scendere al contrario, verso il punto opposto della spirale, che, tuttavia, non sale verso il cielo. Nell’antichità le ziqqurat  lo sfidavano il cielo quasi a voler raggiungere Dio, qui la spirale rovesciata ha rovesciato anche il cielo. Seguirla significa infatti scendere negli inferi, nella profondità della Terra. E’ questa la meta finale che pensa per sé l’uomo moderno? E’ questo il messaggio che deve trasmettere un museo di arte contemporanea? Lo so, solo a me ha fatto questa impressione! Il solito simbolista! E allora, scusate… che figata! Bellissima, meravigliosa l’architettura di Frank Lloyd Wright… una vera imperdibile icona del Novecento!!!

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