20 giugno 2019. LA PIOGGIA COME IL MARE
Al risveglio la sensazione stranissima di sentire il mare. A New York? Piove ininterrottamente da quando sono arrivato. Una pioggia fitta, leggera, che rende l’aria densa, pesante da respirare, mentre il cielo grigio appanna i grattacieli. La pioggia nella casa canonica in cui sono ospitato batte sulle tettoie di alcuni passaggi stradali e si unisce al sottofondo dei rumori della città, questo sottofondo continua sempre, anche con il bel tempo, credo sia lo stesso in tutte le metropoli, in cui la concentrazione umana acquista le caratteristiche di un acufene che mai ti abbandona. Ma quest’incontro tra la pioggia e il rumore della città diventa mare, il mare d’autunno s’intende, quello che batte sugli scogli e produce una specie di sordo muggito nei nostri paesi di mare che si sono svuotati dell’estate. La sensazione familiare del mare ha lasciato però subito il posto ad un santo proposito: devo parlare inglese, devo imparare l’American English! Scendo giù per andare in chiesa a concelebrare la messa con father Andrew. Non in inglese. In spagnolo! Qui la comunità parrocchiale è tutta di ispanici: canti e preghiere si elevano in spagnolo, mentre gli immigrati (portoricani soprattutto) mescolano la loro lingua madre con l’americano appreso male, generando una nuova lingua comune alle classi più povere di New York, lo spanglish! Meno male che la casa ospita una piccola comunità di ricercatori. Chi sono?! Simone, Andrea, Filippo (sì, come gli apostoli), italiani! Meno male, c’è Marie…. francese! Aiutami father Andrew! Come? Parliamo italiano? Colpa di Dante e della nostra bellissima lingua. Hai ragione, father, parliamo italiano, è bello! Compieta in italiano e la messa perché no? in latino. Il viaggio è stato lungo per allontanarmi, ma l’Italia mi aspettava già qui, croce e delizia dell’anima mia!